Passaporti e regimi dittatoriali - (emilio mordini)



(e. m. medico psicoanalista)

Si discute di questi tempi del "Pass anti-covid che il governo si prepara ad applicare per regolare il movimento dei cittadini tra regioni di diversi colori.

Senza la pretesa di voler fare ogni paragone, che- grazie a Dio - parrebbe a tutt'oggi forzato, vale però la pena di ricordare alcuni concetti relativi alla creazione di distinte categorie di cittadini.

Questo passo che riporto è tratto da un più lungo articolo che scrissi nel 2009 (https://ebooks.iospress.nl/volumearticle/24643) :

"Identità personale" significa due concetti separati, vale a dire che un individuo è 
1) distinto da altre persone e inteso come uno; 
2) appartiene ad alcune categorie (ad esempio persone nate nell’anno 2021, a Bologna, di sesso femminile, e così via secondo le categorie previste dalle varie leggi di ogni paese). In altre parole, ci sono due diversi aspetti coinvolti nel riconoscimento personale, 
1) distinguere tra individui e 
2) distinguere tra gruppi di persone.
Dittature di ogni tipo e regimi totalitari hanno sempre governato categorizzando le persone e creando diversi gruppi. Quando i governanti vogliono che il loro suddito umili sé stesso o i suoi simili, creano categorie di persone o sfruttano le categorie esistenti. 
Questo accade per molte ragioni; da un punto di vista psicologico è più facile indurre mancanza di solidarietà (a volte persino ferocia) contro gruppi che sono entità astratte, piuttosto che contro individui specifici: 
è più facile perseguitare “gli ebrei” che il mio amico ebreo con cui ho vissuto e lavorato tutta la vita; se devo fucilare qualcuno sparo nel mucchio, sparare un colpo alla testa ad una persona che si guarda negli occhi richiede molta più determinazione e freddezza.

La creazione di categorie di individui distinti tra loro consente, poi, un processo noto come “pseudospeciazione”. La pseudospeciazione è un processo che trasforma concettualmente le differenze sociali e culturali in diversità biologiche. 
Detto in parole semplici: esseri umani appartenenti a diverse categorie sono considerati e trattati come quasi non appartenenti alla stessa specie (tanto che spesso il matrimonio intergruppo è vietato): un gruppo continua ad essere trattato come umano, l’altro perde alcune caratteristiche di umanità e diventa “subumano”.

Esempi tipici sono su base razziale ed etnica: ariani ed ebrei, bianchi e neri, tutsi ed hutu, serbi e bosniaci, e così via. 
La pseudospeciazione, però, può anche interessare differenze sociali (proletari e proprietari), geografiche (settentrionali e terroni) e persino politiche quando spinte all’estremo (comunisti e fascisti): in genere ogni processo di radicale scontro tra categorie nutre in sé i semi della pseudospeciazione (persino le pseudo tribù di tifosi sportivi).

Erik Erikson, un’importante psicoanalista infantile noto per i suoi studi sull'identità del bambino, è stato il primo a usare questo termine. 
"Ciò che è in gioco qui - ha scritto Erikson - non è altro che l'appartenenza alla specie umana.
I grandi leader religioso hanno tentato di combattere questo fenomeno, ma le loro chiese hanno avuto la tendenza a condividere piuttosto che a evitare la convinzione che vi fossero tribù, razze, classi, caste o religioni "naturalmente" superiori ad altre.

Questa credenza sembra essere parte di una evoluzione psicosociale attraverso la quale si sviluppano pseudo-specie (...) l'uomo non solo tende a perdere ogni senso di specie, ma anche a rivolgersi ad un altro sottogruppo con una ferocia generalmente estranea a quella rivolta sia al "sociale" , sia al modo animale.
Raid, campi di concentramento, deportazioni di massa ed esecuzioni, che hanno causato gli omicidi più orribili, sono tutti atti basati sulla pseudospeciazione che richiede che le persone siano ordinate in base ad alcuni attributi condivisi.
(ad esempio colore della pelle, appartenenza culturale e religiosa, nazionalità, disabilità fisiche, classe sociale, posizione e così via)".

La storia del famigerato timbro "J" utilizzato durante il regime nazista in Germania, Polonia, Francia, Ungheria e altri paesi è ben nota, ma pochi sanno che un simile timbro "J" fu utilizzato per la prima volta nel 1910 nella Svizzera democratica per i documenti di rifugiati ebrei europei.

Anche nell'impero russo c'era un passaporto interno che includeva l'etnia come categoria principale. Il passaporto fu abolito nel 1917 ma fu reintrodotto nel 1932. A quel tempo l'Unione Sovietica stava applicando un nuovo sistema di collettivizzazione obbligatoria dell'agricoltura. 
Quasi 200.000 famiglie furono colpite dalla requisizione di proprietà, terreni e case. L'intero sistema agricolo fu rovinato e presto si sviluppò una carestia. Al fine di prevenire l'esodo dei contadini dalle regioni affamate verso altre regioni, il governo introdusse nuovi documenti di identità e registrazione obbligatoria per i cittadini. 
Il passaporto interno aveva una voce per "nazionalità etnica". 
Alle persone fu impedito a causa della loro etnia di muoversi e, di conseguenza, sette milioni di persone morirono nel cosiddetto "Holodomor" (sterminio per fame). 

Il passaporto interno dell'URSS rimase in vigore sia per controllare gli spostamenti interni sia colpire con trasferimento forzato e sterminio particolari gruppi etnici, come accade oggi in Cina con gli Uiguri.
È noto anche il ruolo delle carte d'identità ruandesi in un altro genocidio, il genocidio tutsi. Si stima che tra 500.000 e 1 milione di persone, principalmente di etnia tutu, siano state sterminate dalla maggioranza degli hutu in Ruanda nel 1994. 
Gli studiosi suggeriscono che prima del rigido sistema di quote imposto dalle autorità coloniali belghe, gli hutu e tutsi erano gruppi di caste sociali piuttosto che gruppi etnici. 
Tuttavia, quando scoppiò il genocidio nell'aprile 1994, migliaia di posti di blocco furono eretti in tutto il paese per filtrare i tutsi, che furono identificati e selezionati per l'omicidio perché gli ID menzionavano il loro gruppo etnico.

Saltando al presente, l'etnia appare sulle carte d'identità di Cina, Sri Lanka e Singapore; la religione del possessore della carta è annotata in Arabia Saudita, Turchia, Egitto, Indonesia, Iran, Giordania, Laos, Malesia, Pakistan; in Siria timbri speciali sulla normale carta d'identità identificano curdi ed ebrei. 
Infine, ci sono molti modi in cui i documenti di identità possono informare sull'etnia, senza menzionare esplicitamente l'appartenenza etnica o religiosa.
Ad esempio, la legge sull'identificazione serba prescrive che la carta d'identità dovrebbe essere in lingua serba e le "altre lingue di quei gruppi etnici a cui è riconosciuto il diritto costituzionale di usare la propria lingua madre”. 
In Israele l'etnia non è più una categoria della carta d’identità, ma i cittadini ebrei hanno la loro data di nascita registrata come data ebraica, mentre i non ebrei no.
Secondo James Fussell, direttore esecutivo di Genocide Watch, il ruolo svolto dalle carte d'identità nella discriminazione è triplice, con diversi gradi di gravità.

Il primo grado è la segregazione sociale:
"La capacità dell'individuo di determinare quando e come identificarsi è limitata. Le carte giocano un ruolo nelle interazioni governative, finanziarie, in cerca di lavoro". 

Il secondo grado è la segregazione legale e la ghettizzazione:
"Le carte dove una persona è autorizzata a vivere, a lavorare e limitano la libertà di movimento. La minaccia di confisca della carta d'identità è un ulteriore mezzo di controllo". 

Infine, il terzo grado è la deportazione, l'espulsione, il trasferimento forzato, i massacri, la pulizia etnica e il genocidio. In questo caso, la classificazione diventa
"... centrale nella selezione del gruppo di popolazione target.
L'emissione e il rafforzamento dell'uso delle carte d'identità è un segmento di un processo di distruzione. Le persone che selezionano o controllano un gruppo prima della morte contribuiscono alla loro distruzione tanto quanto gli assassini immediati... (J, Fussel)".

    >  Emilio Mordini                                                      Aprile 2021